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Un raccordo di tensione fra la desolazione e gli occhi dei bambini

20 Marzo 2016

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260420161650Dopo due film entrambi nominati agli Oscar, Paradise Now(2005) e Omar(2013), il regista Hany Abu-Assad torna nuovamente sul tema palestinese scegliendo l’incredibile storia del cantante Mohammed Assaf. Girato parzialmente a Gaza, è il primo film dopo molto tempo ad immortalare la Striscia e le rovine post distruzione. Prodotto da Doha Film Institute, con il sostegno della Netherlands Film Fund, esce nelle sale il 14 aprile. La prima parte del film è dedicata all’infanzia di Mohammed Assaf (Qais Atallah), legata a quella di sua sorella Nour (Hiba Atallah) e i loro amici Ahmad (Ahmed Qassim) e Omar (Abd-Elkarim Abu-Barakeh). Questi bambini si rivelano attori dal notevole talento, mine vaganti fra le vie di Gaza, spinti dal loro sogno di suonare un giorno al Cairo.

Nour conta le monete insieme al fratello, la strada per il successo esige più soldi e dei veri strumenti musicali. Persone adulte residenti in zone lontane dalla guerra mostrerebbero probabilmente meno tenacia e meno caparbietà di questi giovani bambini palestinesi. Nessun ostacolo è insormontabile, nemmeno le bombe e l’odio degli uomini può fermare il loro sogno, la voce di Mohammed è destinata a diventare il simbolo della speranza del popolo palestinese. Come avviene questo miracolo, ce lo racconta il regista dopo aver seguito con fervore e interesse la vittoria del vero Mohammed Assaf ad Arab Idol nel 2013.
La vicenda salta diversi anni della vita di Mohammed, ormai cresciuto nella pigrione urbana di Gaza. Lo ritroviamo a guidare un taxi per pagarsi l’università, i suoi occhi (che sono ormai quelli del talentuoso Tawfeek Barhom) sono pieni di dolore. Nella realtà, perse molti dei suoi cari ed amici durante l'occupazione e l'assedio, ma il film si concentra sull'impresa di attraversare il confine e mantenere la promessa di dare voce a tutti coloro che vivono la condizione di rifugiati, nella paura e nell'eterno conflitto. Le peripezie, cominciate dall'età di dieci anni, continuano una volta arrivato alla meta. Arab Idol è un concorso importante, selettivo, e richiederà l'ennesimo sforzo di Mohammed per poter essere ammesso nonostante ogni imprevisto. È lo stesso Abu-Assad ad affermare: "Mohammed e Nour hanno l'abilità di mutare l'orrore in bellezza, ovvero hanno il potere di alimentare e nutrire la speranza".

Sembrano parole vaghe, connotate da un'eco storica. Ma ad un occhio attento non può sfuggire l'attenzione che la regia dedica alle inquadrature della Striscia, creando un raccordo di tensione fra la desolazione e gli occhi dei bambini. Filmati di repertorio accompagnano le performance di Mohammed, dandoci un'idea delle incredibili folle che dalle piazze hanno seguito la vittoria di un ragazzo di ventitré anni, nominato ad oggi "ambasciatore di buona volontà" da parte dell'Unrwa (branca delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi). Questo film non è un nuovo The Milionaire, è anzi l'esempio di come non si dovrebbe giudicare un prodotto dalla copertina. Abu-Assad immortala uno spiraglio di luce in un conflitto che vede solo morte e distruzione, ed è bene che il cinema faccia anche questo, senza paura di risultare commerciale o privo di spessore.


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