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Marocco, Tra l’esotico e il fascino misterioso.

07 Marzo 2012

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L’immagine dipinta dal Cinema occidentale nel corso degli anni.

un-tè-nel-desertoSembra manifestatamente così immediata, così nitidamente cristallina l’immagine che si va a configurare nella mente “occidentale” quando si fa un qualche riferimento al Marocco. Un dipinto per certi versi impressionista che narra di un Paese dall’aurea esotica, intriso di mistero e seducente fascino, scevro eccezionalmente da quella condizione precaria che affligge gli altri stati del continente africano. Un’Africa, non Africa. Una sorta di “isola felice” che ha fatto della proiezione di se stessa sul grande schermo – non sempre volontariamente – la sua arma vincente.

Sono state le molteplici caratteristiche endemiche del Marocco – più o meno autentiche –, oggetto di interesse da parte di non pochi cineasti, a contribuire indubbiamente alla creazione di una particolare fotografia, se vogliamo stereotipata e veicolata da uno sguardo esterno, che, nel corso degli anni, ha assunto tipiche connotazioni nell’immaginario collettivo dei paesi culturalmente e socialmente avanzati.

L’importanza dalla risonanza determinata dal fenomeno cinematografico, che nel Marocco si sviluppa precocemente, è pertanto lapalissiana. La storia del Cinema passa, inoltre, anche da qui: contro ogni plausibile aspettativa “occidentale”, infatti, furono proprio Louis e Auguste Lumiere, inventori del cinematografo, a recarvisi per la prima volta nel 1896 con l’intento di riprendere i momenti della vita quotidiana.
Le porte delle stato più occidentale del Maghreb, inizialmente non ancora sotto il protettorato francese, furono quindi dischiuse. I cineasti e gli operatori, provenienti da tutto il globo, cominciarono un progressivo pellegrinaggio verso quelle terre maliarde, dando vita a opere che rientrano nella comune accezione di “Cinema Coloniale”. Nella fattispecie, alla stagione cinematografica che gradualmente darà luce alla costruzione del Marocco come spazio esotico contribuiranno registi italiani, spagnoli, tedeschi, polacchi e in maggior misura francesi, questi ultimi assiduamente a partire dal 1912, anno in cui il sultano alawita ‘Abd al-Hafīz riconobbe la condizione della Nazione da lui condotta a colonia di Francia.

lawrence d'arabiaLa svolta vera e propria però arrivò molti anni dopo. Fu l’Otello di Orson Welles che, premiato con la Palma d’Oro a Cannes nel 1952, portò al Paese una visibilità indiscussa nel panorama cinematografico internazionale. Un impulso più che mai concreto, magnetismo allo stato puro, che richiamò al suo cospetto molti grandi del circuito che conta. Dopodiché seguirono a ruota Jacques Becker con Alì-Babà (1954), Alfred Hitchcock con L'uomo che sapeva troppo (1956), David Lean con Lawrence d'Arabia (1962), John Huston con L'uomo che volle farsi re (1975).

A ogni modo, a essere il più obiettivi possibile, l’ipnotismo marocchino aveva già fatto comunque breccia sul grande schermo qualche anno prima. Nonostante le pellicole Casablanca (1942) e Avventura al Marocco (1942) fossero state girate interamente su suolo statunitense, l’ambientazione di entrambe le narrazioni faceva riferimento alla regione marocchina. Ciò ha verosimilmente avvicinato la mente dello spettatore a quello Stato, fino a quel momento sconosciuto, instillando nel suo animo l’affinità a una specifica immagine, prodromo di quelle sembianze che si sono evolute nel tempo e sono arrivate ai giorni nostri.

Fu per l'appunto Casablanca, città marocchina e pellicola cinematografica di indubbio splendore a dare risalto a una località pressoché “inesplorata”. È facilmente presumibile che l’opera di Michael Curtiz abbia fatto anche da perno, fulcro basilare per la messa in cantiere dell’”anima” del Marocco agli occhi del mondo. Si deve nondimeno fare un ulteriore salto in avanti.

marrakech expressNegli anni a venire si susseguirono diverse pellicole che assunsero un connotato precisato dove alle terre marocchine associarono l’esperienza del viaggio. L’onnipresenza – se non altro in film di un certo spessore made in Usa o Europa – di questa componente “on the road”, di un movimento da e verso qualcosa, alla costante ricerca di un altrove, è una sfida con la quale si misurarono in parecchi. I risultati migliori furono ottenuti da Gabriele Salvatores con Marrakech Express (1989), Bernardo Bertolucci con un Tè nel Deserto (1990) e Gillies MacKinnon con un Treno per Marrakech (1998).
Un elemento qualificante che si va ad accostare al significato anteriormente assodato circa l’esotico, che amplifica oltremodo l’alone fascinoso e allo stesso seducente che si ha del Paese.

Innegabilmente altri grandi successi furono girati all’interno delle terre del “Sol Calante africano”, basti pensare a Il Gladiatore, Le Quattro Piume, Spy Game, Le Rose del Deserto etc. Tuttavia, nessuno contribuì a delineare o modificare in qualche modo l’immagine raggiunta poiché le rispettive riprese di ciascuno di essi esulavano dal contesto locale, ignorandolo volutamente. Il Marocco, di fatto, in esse non è presente. Ciò, rende le pellicole poc’anzi menzionate ininfluenti ai fini della nostra analisi. La stessa identica cosa vale per il Cinema autoctono che, a esclusione di alcuni singoli e rari casi, non ha mai valicato i confini africani, schivando una potenziale commistione intercontinentale.

E ora, dopo aver ripercorso in estrema sintesi le tappe filmiche significative che hanno determinato l’immagine del Marocco, risulta straordinariamente comprensibile quanto il tricetato prima, e polietilene tereftalato (PET), inglobando anche le ultime avanguardie digitali, abbiano influito in questo lungo processo, in cui si è delineata la reputazione e la fama di un Paese.

Pare paradossale, ma sembrerebbe sia stato l’occidente a plasmare per l’occidente stesso, seguendo una sua logica predefinita e attraverso i propri obbiettivi e inquadrature, i connotati del Marocco. Malgrado il cinema occidentale non rispecchi in toto la realtà marocchina, attuale e passata, – almeno non sempre, si veda in primis A Casablanca gli angeli non volano (2004) di Mohamed Asli e Il Pane Nudo (2005) di Rachid Benhadj – non si può certo asserire che ne disveli unicamente artefatti. Sarebbe una illazione. In fin dei conti, le peculiarità e i fattori distintivi che i paesi avanzati hanno esibito nelle loro sale, davanti al loro pubblico, seppur forse eccessivamente ostentati, sono davvero presenti, anche nella filmografia locale.
Ma non è forse il Cinema a trovare diverse congruenze con il mondo dei sogni? E allora – in una prospettiva onirica – non è certo irragionevole sostenere che il Marocco, prodotto cinematografico, è un coacervo esotico avvolto da un fascino misterioso, che richiama il mito del viaggio suscitando una tangibile curiosità nello spettatore occidentale. Il quadro raffigurato non ha bisogno di altre parole.

di Maurizio Zanoni


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